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Due diligence: ecco perché si poteva fare meglio

Le modifiche del Consiglio UE apportate sul testo della CS3D rendono la direttiva non sufficientemente efficace per contrastare davvero la portata delle violazioni dei diritti umani da parte del settore privato.

Lo scorso 15 marzo è stato approvato dal Consiglio dell’Unione Europea il testo della Corporate Sustainability Due Diligence Directive (CS3D), che ora dovrà essere votato dalla plenaria del Parlamento Europeo a Strasburgo per l’approvazione finale. Dal 2022 monitoriamo attivamente questo processo, di cui abbiamo parlato attraverso la campagna “Basta Bambini Minatori” e con costanti aggiornamenti attraverso i nostri canali di comunicazione (in calce i link per approfondire). 

Questa Direttiva è infatti cruciale per vigilare sul rispetto dei diritti umani lungo l’intera catena del valore che determina i processi produttivi. Il testo ha subito costanti modifiche, diventate ben presto peggiorative rispetto alle proposte iniziali, fino ad arrivare al rischio di bocciatura da parte del Consiglio dell’Unione Europea per l’opposizione di alcuni Stati, tra cui l’Italia.

Dopo continui rimandi del voto finale, ora il testo approvato lascia l’amaro in bocca su tanti aspetti: la CS3D è stata infatti sensibilmente modificata in alcuni punti chiave ed è di fatto poco efficace per contrastare le violazioni dei diritti umani lungo l’intera catena del valore. Come Still I Rise, non siamo affatto soddisfatti di questo risultato, frutto di un compromesso del compromesso che già era stato compiuto.

Ecco perché:

  1. Meno aziende rientreranno nell’ambito della Direttiva: la proposta originaria includeva imprese da 500 dipendenti in su, con un fatturato di partenza di 150 milioni di euro, mentre il testo approvato in Consiglio alza la soglia a partire da 1000 dipendenti e un fatturato di 450 milioni di euro. Questo significa che la direttiva si applicherà unicamente allo 0,05% delle compagnie europee, pari a 5.421, ovvero il 67% di meno rispetto alle 16.389 relative al primo testo. Inoltre, è stata eliminata una clausola importante: se prima le regole relative alle dimensioni e fatturato non si applicavano ai settori a rischio notoriamente contaminati da violazioni dei diritti umani (quali il tessile, il minerario e l’agricolo), ora solo le aziende estremamente grandi dovranno controllare le violazioni dei diritti umani e ambientali nelle loro catene del valore.
  2. Riduzione degli obblighi di due diligence. Le aziende che rientrano nell’applicazione della direttiva hanno meno obblighi di controllare il loro impatto sui diritti umani e sul pianeta. Sono state infatti ulteriormente ridotte le attività soggette agli obblighi di dovuta diligenza, escludendo lo smaltimento, lo smantellamento e il riciclaggio dei prodotti, insieme al compostaggio e allo smaltimento in discarica. Questo implica che le aziende non dovranno identificare e affrontare rischi e danni in queste fasi successive. 
  3. Ritardo nell’implementazione. La Direttiva sancisce un periodo di applicazione che varia dai 3 ai 5 anni a seconda della grandezza dell’azienda e del suo fatturato. Questo significa che se la legge entrerà in vigore entro la fine del 2024, la maggior parte delle aziende dovrà conformarsi alle regole a partire dal 2029. Un tempo fin troppo lungo, trattandosi di misure assolutamente urgenti per le persone e il pianeta. 

A queste enormi criticità si aggiungono altre modifiche del testo, che riguardano la responsabilità civile e il settore finanziario. Per quanto riguarda il primo punto, il testo approvato in Consiglio non armonizza, ma delega all’ordinamento giuridico di ogni singolo Stato membro la definizione delle condizioni secondo le quali sindacati, organizzazioni non governative e istituzioni nazionali possono intraprendere azioni legali collettive a nome delle vittime delle violazioni dei diritti umani. Come si traduce nel concreto? La possibilità per una ONG (ad esempio) di intentare una causa contro l’azienda a nome della comunità sarà determinata esclusivamente dalle leggi di ciascuno Stato membro. Infatti, il testo approvato non obbliga più i singoli Stati ad adeguare la propria legislazione per prevedere questa possibilità.

Per il secondo punto, l’ambito di applicazione della CS3D nel settore finanziario è stato limitato. Questo significa che le Banche che erogano fondi alle aziende non sono tenute a fare controlli di Due Diligence su chi richiede questi prestiti, mentre sono obbligate a farli solo su chi a monte fornisce beni, servizi e capitale alla Banca stessa. Di conseguenza, non ci sono controlli di eticità sull’effettiva destinazione del flusso di denaro in uscita. Questo punto è tuttavia suscettibile di modifiche, poiché la Commissione Europea ha la possibilità di presentare una relazione entro due anni dall’adozione della Direttiva, in caso riscontri la necessità di ulteriori verifiche di due diligence nel settore finanziario.

Sempre entro due anni, tutti gli Stati Membri – inclusa l’Italia – sono chiamati ad adattare e ratificare la CS3D nei singoli ordinamenti giuridici. A conti fatti questa Direttiva rappresenta allo stesso tempo un passo storico per la responsabilizzazione delle aziende europee, ma delinea anche un’ennesima occasione mancata di compiere un cambiamento reale e significativo per porre fine allo sfruttamento del lavoro minorile e alle violazioni dei diritti umani. Proseguiamo quindi il nostro impegno nel monitorare e aggiornare sulle future evoluzioni, continuando il nostro lavoro di pressione e di lobby durante il periodo di trasposizione della Direttiva nella legislazione italiana.

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