Cosa sta succedendo?
Ieri, nel cuore della capitale siriana, un attacco aereo israeliano ha colpito il Ministero della Difesa e aree adiacenti al palazzo presidenziale; il bilancio provvisorio parla di almeno 3 morti e 34 feriti, secondo il ministero della salute siriano. L’operazione non è stata un caso isolato. È solo l’ultimo episodio in una catena di tensioni che, sotto la cenere, non ha mai smesso di bruciare. Per capire dove sta andando la Siria dopo la caduta di Bashar al-Assad — e cosa rischia tutto il Medio Oriente — bisogna fare qualche passo indietro e partire dall’inizio.
La fine del regime di Assad e l’arrivo di Al Sharaa
Con la caduta di Bashar al‑Assad, a dicembre 2024, la Siria è entrata in una nuova fase. Ma non una fase di pace. Israele, che occupa le alture del Golan dal 1967, ha subito avviato una serie di bombardamenti contro vecchi depositi militari siriani. Secondo alcune fonti non verificate, Assad avrebbe negoziato un’uscita sicura verso la Russia consegnando a Israele le coordinate di questi siti strategici. Anche senza conferme, l’ipotesi segnala il ruolo cruciale di quegli arsenali nella transizione. Israele ha poi rafforzato la propria presenza nel sud della Siria, motivandola con la necessità di creare una “zona cuscinetto” contro forze ostili.
Nel frattempo, Ahmed al‑Sharaa ha assunto il potere, promettendo una Siria unita e inclusiva. Non solo un principio, ma l’unica via per evitare il collasso dello Stato. Tuttavia, il paese resta frammentato: i drusi controllano Suwayda, i curdi il nord‑est, mentre altre milizie locali mantengono il controllo su diverse aree. Da gennaio 2025 sono in corso negoziati con i principali attori locali per ristabilire l’autorità centrale. Ma all’interno della stessa coalizione di governo non sono mancati episodi di violenza, vendette settarie e repressioni arbitrarie, come a Latakia (marzo 2025) e Suwayda. Il governo ha promesso giustizia per tutti i crimini, ma finora nessun processo rilevante è stato avviato.
I Drusi e Swayeda
La provincia di Suwayda, nel sud della Siria, è abitata prevalentemente dalla comunità drusa. I drusi sono una minoranza religiosa di origine islamica sciita, formatasi nell’XI secolo, che oggi conta circa un milione di fedeli distribuiti tra Siria, Libano, Israele e Giordania.Durante il regime di Assad, i drusi avevano ottenuto una certa autonomia.
Ma negli ultimi anni, soprattutto nel 2023–2024, sono scesi in piazza contro la repressione e l’emarginazione, e hanno avuto un ruolo anche nella caduta di Assad. Da allora, hanno formato gruppi armati locali come il Suwayda Military Council, che ha preso il controllo della regione
L’escalation a Suwayda
Da aprile 2025, Suwayda è stata teatro di crescenti tensioni tra milizie locali e forze governative. La crisi economica, il centralismo di Damasco e l’assenza di rappresentanza politica hanno alimentato il malcontento tra i drusi. La situazione è degenerata nei primi giorni di luglio, dopo scontri tra comunità druse e gruppi beduini, culminati nell’intervento dell’esercito siriano per riprendere il controllo della città.
Israele ha risposto dichiarando l’intenzione di proteggere la comunità drusa, con cui mantiene legami storici e militari — oltre 150.000 drusi sono cittadini israeliani e servono regolarmente nelle Forze di Difesa Israeliane. Tel Aviv ha quindi colpito obiettivi strategici a Damasco, tra cui il Ministero della Difesa e un’area adiacente al palazzo presidenziale. Di fronte a un attacco così diretto, Al-Sharaa ha dovuto ordinare il ritiro delle truppe da Suwayda.
La situazione in Siria ora
La Siria post Assad è un Paese esausto: esausto da 13 anni di guerra con più di 600.000 morti, esausto dalle sanzioni che non permettono al Paese di aprire la propria economia, esausto di risorse. In Siria, non c’è più nulla. In tale contesto, Al-Sharaa ha in primis bisogno del supporto degli Stati Uniti per legittimare il suo governo a livello internazionale, condizione essenziale per la revoca delle sanzioni e la ripresa economica.
Per questo, il governo siriano ha scelto – o è stato costretto – a non rispondere agli attacchi israeliani. Non ha né i mezzi militari né il consenso interno per riaprire un fronte di guerra, e la priorità in questo momento non può che essere la ricostruzione e l’unità del Paese.
Possibili futuri scenari
L’impossibilità del governo siriano di rispondere efficacemente alle incursioni israeliane pone la Siria in una situazione strategica delicata. Lasciare Suwayda in uno stato di semi-autonomia potrebbe alimentare rivendicazioni simili da parte di altre regioni, soprattutto quella curda nel nord-est, compromettendo ulteriormente la possibilità di ricostruire uno Stato siriano unitario.
D’altro canto, Israele potrebbe limitarsi a garantire una zona demilitarizzata nel sud, oppure sfruttare la debolezza del governo siriano per espandere ulteriormente la propria influenza, anche militare. In questo contesto, il ruolo degli Stati Uniti sarà cruciale: il sostegno a un governo stabile a Damasco, oppure un disimpegno strategico, potrebbero influenzare significativamente il corso del conflitto e far precipitare la Siria in una frammentazione permanente.