Lettera dal campo
Sono tornato dal Sud Sudan con un sorriso grande e un risultato che mi riempie di orgoglio: l’accordo per l’acquisizione della terra è stato firmato e i lavori di costruzione della nostra Scuola d’Emergenza a Juba sono cominciati.
Ottenere quel terreno è stato, di per sé, un miracolo.
Quando ho messo piede a Juba per la prima volta a maggio di quest’anno l’edificio era introvabile. O troppo costoso, o troppo piccolo, oppure sapeva di truffa. Non sembrava esserci nessuna zona franca per noi — in qualsiasi luogo della città, dovevamo difenderci da qualcosa. Dalle zanzare e dal caldo, dai posti di blocco della polizia e dei militari. Il nostro secondo giorno in città, avevamo subìto un fermo di tre ore da un gruppo di militari che ci ha intimidito, strattonandoci e privandoci dei nostri telefoni e documenti.
Come se non bastasse, io avevo contratto un’infezione all’orecchio destro perdendo il 30% del mio udito. Scriverne dopo tutti questi mesi mi fa sinceramente ridere.
Ed è proprio questa la magia. Nel giro di qualche mese, abbiamo vinto poco a poco l’inerzia della città.
Siamo riusciti a entrare a far parte della tribù dei Bari di Mangalla, a convincere la città che la nostra presenza qui ha valore e a garantirci la loro terra ancestrale. Si è trattata di un’operazione ad alto rischio, in una giurisdizione in cui il diritto alla proprietà non è pienamente tutelato. Abbiamo adottato tutte le tutele necessarie per ridurre i rischi a un livello accettabile e condotto verifiche capillari, consultando archivi pubblici e non, e ricostruito la storia di questa terra.
Quando ero in aeroporto, pronto a prendere il volo di ritorno, mi sembrava di vivere il lieto fine di una favola. Ero pronto a un promettente, gioioso nuovo inizio: costruire la nostra scuola. Ma la tempesta è arrivata subito.
Il giorno dopo la mia partenza, infatti, i militari hanno iniziato ronde nelle case di privati cittadini. Il nostro staff è stato toccato: il nostro responsabile locale ha ricevuto la visita di un contingente di militari. Gli hanno puntato un’arma e messo la casa a soqquadro.
Cercavano armi illegali. Ovviamente, non le hanno trovate, e se ne sono andati. Un caso giudiziario di alto profilo è la ragione del clima che ora regna in città. Dei responsabili politici si sono dimessi, qualche quartiere si è infiammato. Ma dopo le perquisizioni a tappeto eseguite dall’esercito in tutti i domicili di Juba, la normalità si è lentamente reimpossessata della città. I negozi hanno riaperto, le persone sono tornate per strada e, oggi, la vita è ripresa come prima.
Mentre ti sto scrivendo, stiamo davvero cominciando a costruire la Scuola. Negli ultimi giorni la nostra terra si è affollata di trinciatori e camion: il cantiere è ufficialmente iniziato. L’entusiasmo e la gioia del team sul campo mi travolgono e mi riportano il sorriso.
Apriremo la prima Scuola di Emergenza e Riabilitazione gratuita in tutto il Sud Sudan. Ma la strada per arrivarci è lunga, sotto un cielo annuvolato. La tempesta è sempre dietro l’angolo.
Grazie per aver reso la nuova Scuola una realtà.
Giovanni Volpe – Generale Counsel a Still I Rise
 
             
        