Vai al contenuto

Lampedusa,
Diario di bordo
- Giorno 1

Il racconto di Giulia Cicoli
Co-fondatrice di Still I Rise

Giorno 1: O’Scià

O’scià” – mio respiro. A Lampedusa ci si chiama così

Un respiro per prepararsi all’impatto, un respiro per entrare in punta di piedi in una terra che da anni è al centro di una delle sfide umane e politiche più complesse d’Europa. Lampedusa non è solo un’isola: è una terra di frontiera.

Siamo arrivate ieri. Io e Fatima, che da tre anni lavora con me nel dipartimento di advocacy. Un volo breve, un viaggio denso. Con un respiro profondo e una domanda che ci accompagnava da tempo: cosa sta succedendo realmente a Lampedusa?

Dopo Samos, avevo bisogno di capire, di ricucire un filo che avevamo lasciato sospeso, e Lampedusa ci sembrava il punto giusto da cui ripartire. Perché capire la migrazione oggi – quella reale, quella vissuta nei corpi e nei porti – significa ascoltare le voci di chi questa isola la abita, la attraversa, la presidia. Il nostro obiettivo è semplice e insieme complesso: ascoltare, osservare, comprendere.

Appena arrivate, la sensazione è stata quella di un déjà vu. Abbiamo incontrato operatori e operatrici di ONG che lavorano sul territorio, e le loro parole mi hanno riportato dritte a Samos: securizzazione estrema, respingimenti normalizzati, marginalizzazione profonda della società civile. Sembra Samos, ma è Lampedusa. Sembra Grecia, ma è Italia. Cambia la lingua, non la logica. Il volto del Mediterraneo resta lo stesso: sorvegliato e chiuso.

Sappiamo già che non potremo entrare nell’hotspot. Non ci è permesso. Ma faremo tutto il possibile per ascoltare, osservare, collegare i puntini, dare un senso. Perché il nodo non è solo lampedusano. È europeo. È globale. La migrazione non è, infatti, emergenza, è struttura. E l’Europa, oggi, sembra non volerla più vedere, se non attraverso barriere, algoritmi, e filo spinato

Ma il nostro racconto non si fermerà alla migrazione. Non vogliamo – non possiamo- parlare di questa isola senza guardarla tutta. Nella sua bellezza struggente e nelle sue fatiche strutturali. Perché non si può avere la pretesa di capire un luogo se non si abbraccia il suo insieme: chi arriva, chi resta, chi parte. Le contraddizioni, le speranze, i silenzi.

E proprio da questa Lampedusa che resiste abbiamo ricevuto uno dei primi insegnamenti forti della giornata. Abbiamo incontrato Agricola Mpidusa, una cooperativa agricola sociale e di comunità che prova a riscrivere il futuro piantando semi. Letteralmente, offrono opportunità lavorative a giovani e persone con disabilità, e tenta – ostinatamente – di rendere l’isola più autosufficiente, più giusta, più viva.

Con loro c’era anche Andrea, famoso- ci dice lui- in tutta Italia per la storia a lieto fine del suo cane Rocky, che ci ha chiesto di condividere.

E allora oggi abbiamo capito una cosa: non si può parlare di migrazione senza parlare anche di terra. Senza parlare dell’ospedale che manca, dell’agricoltura che resiste. Perché ogni punto che raccogliamo in questi giorni ha senso solo se disegna un insieme.

“O’scià” è il saluto che accoglie. Ma anche il vento che spinge. E sarà il filo che guiderà questo nostro viaggio.

Sostieni il nostro lavoro

Se vuoi continuare a leggere il racconto dal campo,  qui puoi recuperare il racconto del GIORNO 2, qui il racconto del GIORNO 3 e qui il racconto del GIORNO 4 del diario di viaggio a Lampedusa, Se vuoi sostenere il nostro lavoro di advocacy, puoi farlo a questa pagina.

Sostieni
Still I Rise

Con la tua donazione regolare potrai cambiare il destino dei bambini più vulnerabili del mondo.

Dona ora