Giorno 4: Lampedusa, ultime 24 ore
Il nostro breve viaggio a Lampedusa si è concluso. Stamattina siamo andate a vedere l’hotspot, a salutare le persone che ci hanno accolto, e per concludere ci siamo recate alla Porta d’Europa: il punto dove il mare si apre e ricorda a tutti che da qui comincia e finisce qualcosa.
L’hotspot è un luogo che racconta molto senza parlare. Viene descritto sempre come un centro d’emergenza, ma basta poco per capire che non è più così: qui l’emergenza è diventata normalità. I flussi continuano da anni e la struttura stessa del luogo lo dice: i moli nascosti, gli spazi che sembrano fatti per non essere visti, la rapidità con cui in ventiquattro ore le persone vengono spostate altrove. Tutto è pensato per passare sotto silenzio, eppure qui si tocca con mano una delle realtà più grandi del nostro tempo.
È impossibile non pensare a Samos: anche lì il nuovo hotspot è stato costruito lontano dallo sguardo, nascosto in una conca. Due isole lontane tra loro, ma segnate dallo stesso destino: punti di approdo e di attesa, periferie geografiche e politiche che diventano il centro di una questione che riguarda tutti.
Vivere su quest’isola significa abitare un confine: struggente nella bellezza del suo mare e dei suoi tramonti, ma anche struggente nell’abbandono che si respira. Una periferia che il mondo ricorda solo quando la cronaca lo impone e che poi viene lasciata sola. Così come Samos, anche Lampedusa è un avamposto che ci obbliga a guardare le contraddizioni dell’Europa: porte che si aprono e si chiudono, promesse di accoglienza e realtà di esclusione per chi arriva, ma anche per chi è già qui.
La Porta d’Europa è stata il nostro ultimo sguardo. È un simbolo, ma soprattutto un promemoria: da qui sono passate e passeranno vite che cambiano direzione. Noi siamo arrivati fin qui per riprendere un filo. Lo porteremo con noi e nei prossimi mesi continueremo a seguirlo lungo le traiettorie delle migrazioni, ma anche lungo quelle che parlano di noi e del nostro Paese.
Lasciamo Lampedusa sapendo che questo viaggio non finisce qui. È solo il primo passo per capire meglio, per non dimenticare e per continuare a guardare questo pezzo di mondo che, in silenzio, tiene aperta la porta di tutti noi. Torniamo da questo primo viaggio con più domande che risposte: domande che ci spingeranno a proseguire il cammino, a cercare storie, a riconoscere le violazioni e a dare loro voce.
Oggi lasciamo l’isola con il cuore pieno e con la promessa di tornare – o almeno di non smettere di guardare in quella direzione. Perché Lampedusa, nel bene e nel male, resta lì: una porta aperta sul mondo, ma anche uno specchio in cui l’Europa intera dovrebbe avere il coraggio di guardarsi.
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